La psicoterapia cognitiva

Pezzo mancante in un puzzle

La terapia cognitiva risulta essere attualmente una delle forme di psicoterapia più avanzate e supportate da ricerche scientifiche. L’assunto fondamentale postulato per la prima volta negli anni ’60 da Beck e da Ellis (Beck 1967, Ellis 1962) è che le rappresentazioni mentali di ognuno di noi (credenze, pensieri automatici, schemi), permettono, con un minimo d’inferenza, di spiegare il disagio psicologico ed il suo perpetrarsi nel tempo.
Ciò che caratterizza la psicoterapia cognitiva è la spiegazione dei disturbi emotivi attraverso l’analisi della relazione fra pensieri, emozioni e comportamenti (Mancini, Perdighe 2008).

Uno degli aspetti principali di questo approccio è identificabile nella celebre frase del filosofo stoico Epiteto:

“L’uomo non soffre per le cose in sé, ma per le opinioni che egli ha di quelle cose”.

Il cardine di questa prospettiva è il ruolo attribuito al pensiero, alla valutazione degli esseri umani nella determinazione del disagio e dei problemi psicologici ed emotivi ( Dell’Erba, 1998a).

Le reazioni emotive che fanno soffrire l’individuo, ed il disagio che ne deriva, sono frutto di distorsioni di tipo cognitivo: la patologia è frutto di pensieri, schemi e processi disfunzionali (Mancini, Perdighe 2008).

Il ruolo delle emozioni

Le emozioni di base sono filogeneticamente determinate, hanno una base innata ed una funzione adattiva, tuttavia possono diventare causa di sofferenza per il soggetto quando la loro intensità è molto elevata e si protrae a lungo.
Lo stato emotivo è determinato dal significato personale che l’individuo attribuisce agli eventi, dunque l’intervento terapeutico sul significato e quindi sulla variabile cognitiva, è considerato lo strumento principe del cambiamento nella psicoterapia cognitivista il cui scopo è aiutare i pazienti a diventare consapevoli dei contenuti del pensiero disfunzionali, a modularli e modificarli.
Le persone agiscono in funzione delle proprie conoscenze quindi modificarle significa cambiare il comportamento conseguente e le emozioni associate a quelle interpretazioni, tutto ciò mette il soggetto in grado di fronteggiare più efficacemente gli eventi della vita.

Le tecniche

Lo strumento utilizzato in terapia che consente l’identificazione del sistema di valutazioni cognitive di cui si serve l’individuo è il modello A-B-C di Albert Ellis che può essere immaginato come uno schema a tre colonne, la prima delle quali, A, identifica le condizioni antecedenti, gli stimoli, gli eventi.
Il B indica le credenze, il pensiero, il ragionamento, le attività mentali che hanno come oggetto gli antecedenti.
Il C definisce le conseguenze di queste attività mentali ed identifica reazioni emotive e comportamentali (Ellis, 1964, 1994, 1987; De Silvestri 1981a; Dell’Erba, 1998).

Il fatto che uno stesso evento, ad esempio un rimprovero, possa produrre in una persona una forte reazione di vergogna, in un’altra rabbia, oppure di colpa o depressione, dipende dalla valutazione che la persona dà del rimprovero. Essa è il risultato di un processo inferenziale, più o meno automatico, consapevole e funzionale, basato sulle convinzioni del soggetto. Ad esempio se mi rappresento un evento come ingiusto proverò rabbia (Mancini, Perdighe 2008).

La psicoterapia cognitiva si serve di numerose tecniche alcune strettamente cognitiviste altre comportamentiste, che differiscono fra loro per il fatto che le seconde considerano il cambiamento delle convinzioni dell’individuo, come un effetto dell’intervento e non il suo scopo. Tutte le procedure vengono utilizzate in vista della riduzione della sofferenza emotiva e differiscono fra loro a seconda della strategia di cambiamento sottesa, alcune hanno lo scopo di elicitare i contenuti problematici e servono a far emergere le convinzioni e gli schemi disfunzionali; altre sono orientate alla modifica del contenuto del pensiero e degli schemi, servono a mostrare al paziente la parzialità e non la correttezza della propria interpretazione dandone così un significato più funzionale; altre ancora sono finalizzate a rendere meno rigide ed assolutistiche le convinzioni della persona; vi sono poi le procedure orientate a modificare direttamente le emozioni e le condotte migliorando le capacità di fronteggiamento delle situazioni attraverso l’apprendimento di nuove competenze (Mancini, Perdighe 2008).

Come opera?

  • Aspetti cognitivi: modificazione degli schemi di pensiero disfunzionali e dei pensieri automatici negativi.
  • Aspetti comportamentali: individuazione e modificazione delle variabili che possono causare o mantenere un comportamento disadattivo.
  • Aspetti fisiologici: modificazione dei sintomi neurovegetativi (tachicardia, ipereccitazione, ipertono muscolare, tremori, oppressione respiratoria, sudorazione, fauci secche) associati a sintomi comportamentali (agitazione, ipercinesia, difficoltà di concentrazione, ecc…).

Quali sono gli ambiti d’intervento?

Le principali aree d’intervento del trattamento cognitivo – comportamentale sono:

  • Ansia o preoccupazioni generalizzate, fobie specifiche e sociali, attacchi di panico ed agorafobia
  • Ossessioni e compulsioni, ipocondria
  • Disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating), sovrappeso ed obesità
  • Disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare)
  • Stress, disturbi psicosomatici, insonnia e cefalee
  • Abuso e dipendenza da sostanze
  • Disturbi di personalità
  • Rabbia patologica
  • Difficoltà relazionali – affettive
  • Problemi di coppia e della sfera sessuale
  • Difficoltà nella scuola: disturbo dell’attenzione ed iperattività, disturbi dell’apprendimento, fobia scolastica ed handicap, mutismo selettivo, ansia sociale, enuresi ed encopresi.

La terapia è efficace?

Oltre vent’anni di controlli e verifiche hanno dato i seguenti risultati, circa l’efficacia dell’intervento cognitivo – comportamentale:

  • Attacchi di panico » 80%
  • Fobia sociale » 81%
  • Disturbo d’ansia generalizzato » 50%
  • Disturbo ossessivo – compulsivo » 50%-80%
  • Disturbi alimentari » 75-80%
  • Depressione » 75%

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